La Croce dipinta della Chiesa di Santa Maria

La croce dipinta e sagomata di Colle è una diretta figlia e sorella della nuova raffigurazione realistica realizzata da Giotto, morto appena venti anni prima (nel 1337) della creazione del nostro manufatto.

L’opera conservata a Colle si richiama, nel tipo di sagomatura, a quella della chiesa di San Domenico a Prato (particolarmente nella tavola ai piedi di Cristo e sotto le ascelle) ma non nei medaglioni quadrati, che invece richiamano molto quelli di Giotto di Piero Lorenzetti a Cortona e di altri senesi, come Segna di Bonaventura, nella badia di Arezzo (1340), e Agnolo Gaddi a Firenze.

Il Cristo risorto della cimasa superiore, con il segno benedicente delle tre dita della mano destra che richiamano alla Trinità, e che sommati agli altri, danno come risultato il numero otto, ritenuto dagli antichi il simbolo della perfezione di Cristo, pone la croce di Colle in riferimento (o in contaminazione) all’azione di artisti che hanno operato nel pistoiese, nella lucchesia, a Firenze e nell’aretino negli anni 1340-60. Il passaggio a Colle, o nelle vicinanze, di veri e propri maestri è più che probabile, visto lo stretto contatto tra loro dei grandi centri di cui sopra, così come per la presenza di ville e terre di potenti famiglie padronali che potevano pagare opere simili, sicuramente molto costose.

La forma dei medaglioni, oltre il fatto puramente estetico, è importante perché geometricamente connessi ai numeri simbolici della croce ed in se stessi racchiudono il simbolo per eccellenza del cristianesimo. In un’opera religiosa non è importante solo la raffinatezza estetica, quanto il segno che la fede religiosa cerca innanzitutto di precisare e comunicare. Così, ancora i medaglioni della croce di Colle, hanno sette e otto angoli, dove il sette è simbolo dei doni dello Spirito Santo (meritatoci da Cristo proprio con la sua morte sulla croce) e l’otto simbolo dell’ottagono e quindi rinnovato richiamo alla perfezione del Signore Gesù.

Le figure stesse dei medaglioni sette/ottagonali (che potevano anche essere quadrati o rettangolari come nell’antica e classica tradizione delle croci dipinte del XII secolo) ci danno il massimo dell’edificazione cristiana e sono: sulla sinistra Giovanni Evangelista, il discepolo più giovane al quale Gesù dalla croce affidò sua madre, Maria Vergine, che senz’altro doveva essere raffigurata alla destra, ma oggi mancante per la grave lacuna dovuta alla caduta del colore; la Maddalena, nella parte inferiore, di solito occupata dalla figura di Adamo (in genere sotto il sangue che gocciola dai piedi del Crocifisso vi è un teschio, cioè la testa del primo uomo lavata dal peccato dal sangue di Cristo). Maria di Magdala è la peccatrice poi redenta come Adamo dalla morte del Salvatore, e la sua collocazione da parte dell’autore della croce dipinta di Colle può derivargli da una profonda conoscenza teologica, ma soprattutto da una consuetudine già affermata che durerà fino ed oltre il XV secolo.

La Maddalena ai piedi di Cristo è similitudine  (o metafora) della scena dove lavò con le lacrime e baciò i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli e così perdonata dal suo peccato. Lì al “banchetto di Cristo vivo”, qui ai piedi del Cristo sulla croce, nuova festa della vita nuova senza peccato.

Nel medaglione sulla cimasa vi è il Cristo risorto con il gesto benedicente e il cartiglio: “Io sono luce del mondo, via, verità”. Qui l’immagine del Cristo-Dio vivo con gli occhi aperti all’antica maniera bizantina del Volto Santo si è spostata dall’uomo ormai morto con il capo reclinato sulla Croce a Cristo risorto e benedicente con il segno miracoloso della mano destra semiaperta sul Tre-Cinque (dita) (og-doade-Otto, ottenuto in due gesti in una sola mano) nel medaglione ottagonale sulla cimasa della croce, com’era usuale nelle icone bizantine.

Qui si può intendere che mentre nel Cristo trionfante la croce era tutt’uno con la vittoria sulla morte, invece in questa iconografia del Cristo morente le realtà sono invece due. Come fu stabilito al Concilio di Costantinopoli del 696; l’iconografia del Cristo morto in croce e quella del Cristo-Dio a occhi aperti vittorioso dalla morte sulla croce.

La tesi teologica era che Cristo, in quanto Dio, può guarire e vincere la morte e, come uomo, ammalare e morire in quanto doppia natura, umana e divina.

Ci sembra che gli esecutori di questa versione iconografica avessero bene in mente la primitiva immagine del Volto Santo, del Cristo vivo trionfante in Croce, anche se la raffigurazione iconografica era cambiata quasi definitivamente da mezzo secolo. 

                           

Piero, Dante e noi

(Seconda parte)

Perciò riparlare di Piero della Francesca (o di Dante) vuol dire parlare anche di noi “uomini moderni”. Perché l’arte è ciò che edifica o tenta di costruire un mondo nuovo vero e bello per tutti, non solo per alcuni o, diciamo, solo per chi se lo può permettere più bello e più giusto mentre il resto dell’umanità, come dice la formica alla cicala: “Canta che ti passa la fame e la sete … della verità e della giustizia”. Dostojewskyj dice che: “La bellezza salverà il mondo”.  Perché poi la bellezza, o la via della bellezza (filocalia) è l’ideale cristiano, o la via verso Dio, altrimenti non è tale, oppure addirittura niente. Luciano Berti e Laura Speranza nel Raggio di Piero (edizioni Marsilio, 1992), in occasione del Cinquecentesimo anno dalla morte di Piero della Francesca, in un bell’aneddoto storico su Piero, riportano che quando “le truppe anglo-americane alleate liberavano l’Italia dall’occupazione nazista del 1944, passando da Sansepolcro, il comandante di batteria A. Clark ordinò di sospendere il cannoneggiamento di questa cittadina perché lì vi era la più bella pittura del mondo”. Il comandante Clark si ricordò di aver letto ciò nel libro del viaggio in Italia di A. Huxlej, che aveva visitato a lungo l’Umbria, la Toscana e le Marche nel 1924, e che riportava la frase sopra citata dal comandante.

 La bellezza del Cristo trionfante con la bandiera crociata, vittorioso sulla morte (e perciò sulla malvagità e crudeltà dell’uomo, che sono il contrario delle bellezza cristiana di Dio Padre), salvò un piccolo pezzo di mondo [La Resurrezione è anche, secondo me, un voto di Piero alla luce di Cristo nella quale lui stesso si ritrae alla base del sepolcro come un soldato romano, insieme a Longino con la lunga lancia (per Longino si può vedere la Leggenda Aurea, di Bargellini Mille santi del giorno, o La croce dipinta di E.S. Vavalà, Verona 1929). San Longino(*), che cade il 15 marzo, è forse lo stesso volto che riappare nelle Storie della Croce ad Arezzo sempre insieme al ritratto di Piero e sotto le croci ritrovate. Il ritratto di Longino potrebbe essere sicuramente un parente, o un amico di Piero della Francesca che soffriva ugualmente di problemi alla vista come lo stesso Piero]. Perciò, se ognuno di noi riesce anche a salvare il suo proprio paese, piccolo o grande che sia, o la sua anima, se ne deduce anche, in termini matematici, che: “Questa è la filocalia, o la via della bellezza che salverà tutto il mondo”.

 Piero cercando, o salvando, come io credo, la sua anima ha salvato anche il suo paese, o la “madre”, come dice Dante (Purgatorio, Canto XI°): “Che non pensando a la comune madre ogne’ uomo ebbi in despetto tanto avante”. Cercare un mondo nuovo, o possibile, o da salvare, nell’insegnamento di Dante o nell’arte della pittura di Piero, che riveste e mette l’uomo nella luce, nel disegno (e nella prospettiva trasparente e profonda), ordinato e preordinato di Dio, perché: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per aver vertute e conoscenza” (Inferno, Canto XXVI, vv. 119-120).

 Oppure: “O superbi cristiani miseri e lassi che de la mente e de la vista infermi non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla che vola alla giustizia sanza schermi?” (Purgatorio, Canto X, vv. 121-126). Piero aveva sofferto di problemi alla vista per il catarro (Vasari) e questo dipinto di Piero è una vera e propria preghiera (“esegesi pregata - lettura orante” - T. Verdon). Anche se non era monaco come l’Angelico, “Piero condivideva la totalità della vita del suo tempo, plasmata dalla liturgia” (T. Verdon). E’ chiaro che tutta l’immagine è fortemente costruita in un rigoroso e preciso simbolismo cristiano dei misteri della fede. Nel prossimo numero continueremo la descrizione dei valori formali della Resurrezione.

La Maddalena ai piedi di Cristo è similitudine  (o metafora) della scena dove lavò con le lacrime e baciò i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli e così perdonata dal suo peccato. Lì al “banchetto di Cristo vivo”, qui ai piedi del Cristo sulla croce, nuova festa della vita nuova senza peccato.

Nel medaglione sulla cimasa vi è il Cristo risorto con il gesto benedicente e il cartiglio: “Io sono luce del mondo, via, verità”. Qui l’immagine del Cristo-Dio vivo con gli occhi aperti all’antica maniera bizantina del Volto Santo si è spostata dall’uomo ormai morto con il capo reclinato sulla Croce a Cristo risorto e benedicente con il segno miracoloso della mano destra semiaperta sul Tre-Cinque (dita) (og-doade-Otto, ottenuto in due gesti in una sola mano) nel medaglione ottagonale sulla cimasa della croce, com’era usuale nelle icone bizantine.

Qui si può intendere che mentre nel Cristo trionfante la croce era tutt’uno con la vittoria sulla morte, invece in questa iconografia del Cristo morente le realtà sono invece due. Come fu stabilito al Concilio di Costantinopoli del 696; l’iconografia del Cristo morto in croce e quella del Cristo-Dio a occhi aperti vittorioso dalla morte sulla croce.

La tesi teologica era che Cristo, in quanto Dio, può guarire e vincere la morte e, come uomo, ammalare e morire in quanto doppia natura, umana e divina.

Ci sembra che gli esecutori di questa versione iconografica avessero bene in mente la primitiva immagine del Volto Santo, del Cristo vivo trionfante in Croce, anche se la raffigurazione iconografica era cambiata quasi definitivamente da mezzo secolo. (Continua)                                                                    

 

                                                                                              

 

                                                                                                                                                Nello Taschini

 
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