Gianfranco Gaggioli

L’artista

Gianfranco Gaggioli è nato a Colle di Quarrata nel 1942 e da sempre vi abita e vi lavora.


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La pittura di Gaggioli è un'intensa fusione, un denso sincretismo di interessi, momenti, pensieri, sentimenti, emozioni. Su tutto questo domina un occhio vigile, un ragionare che finisce per dare ordine alla pluralità degli elementi in gioco. E lo fa, perlopiù, senza interruzioni o senza strappi troppo evidenti. L'osservatore che guarda le opere di Gianfranco, si rende conto di quel perlopiù, nel senso che nella maggior parte dei casi l'impegno dell'artista è rivolto a un linguaggio meditatamente univoco, sufficientemente personale (un linguaggio che si fa anche stile proprio); ma anche nel senso che talora una "distrazione" (e pongo la parola tra virgolette, in quanto fenomeno principalmente emotivo) lo spinge a sconcentrarsi dalla misura del linguaggio prescelto per abbandonarsi all'ingenuità del ... primo amore.
Primo amore per Gaggioli significa il paesaggio nel senso tradizionale e rustico del termine: l'ampio orizzonte, il confine dilatato, ma non quello usuale, bensì quello lontano, alpino, dell'Alto Appennino con cime e vette quasi dolomitiche e ricoperte di nevi, dove talora si apre uno specchio d'acqua, un laghetto pronto a riflettere il cielo come una spera. E' in questi momenti di distrazione che Gaggioli rinnega il suo mondo per entrare in altro, un mondo della sua immaginazione intravisto e accarezzato come una fuga dal quotidiano - è il mondo dei cieli azzurri e incontaminati, della non-presenza umana; una realtà in cui rifugiarsi, anche per un solo momento, alla ricerca di una compostezza, di un silenzio, di una pace che non possono fare parte della nostra realtà concreta.  
E' qui che il suo linguaggio si sdoppia e si fa diverso, rinunciando a quello stile calmo che caratterizza la lingua del dialogare fra simili che condividono un mondo simile, quello della collina toscana più tradizionalmente connotata.  

C'è da chiedersi, se ancora non si è fatto, cosa sia la pittura di Gaggioli al di là del sincretismo cui accennavo poco sopra. E la risposta è naturale: la pittura di Gaggioli è un dialogare muto con le forme dei poggi, con le erbe e i fiori, con i frutti, con le linee delle case raggruppate o solitarie, con gli alberi delle colline toscane (olivi e cipressi), con la fuga delle colline lontane, là, in fondo, mentre si alzano al cielo e sembrano perdere perfino la linea di demarcazione con gli spazi dell'azzurro dove corrono nuvole bianche.                                                                                           

 

               Edoardo Bianchini

 

   

Presentazione

dell’opera pittorica (su tela) di Gianfranco Gaggioli

Cena in Emmaus

collocata nella chiesa il 9 settembre 2007

 

L’episodio evangelico

«Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo... Quando furono vicini al villaggio in cui erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perchè si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista» (Lc. 24, 15-31)

Questo il brano del Vangelo di Luca che riferisce dell'incontro di Cristo con i due discepoli che da Gerusalemme facevano tristemente ritorno ad Emmaus, distante circa sette miglia dalla Città Santa, dal Monte Sion, dal luogo in cui Cristo fu crocifisso e fu risorto. La notizia, in quel primo giorno dopo il sabato, già dal mattino stava circolando e loro l'avevano sentita, ma non ritennero di verificare, fermandosi ancora in città. La delusione per ciò che giudicavano un irrimediabile fallimento, li spingeva a tornare sui propri passi, alla vita di prima, a quella di sempre, fatta di sacrifici e di stenti, di monotona rassegnazione agli eventi. Il Cristo che avevano conosciuto e amato, il Cristo che aveva loro parlato di giustizia e di vita eterna, il Cristo potente in parole e in opere era morto, tutto il resto appariva solo e sconsolatamente come chiacchiere e farneticazioni di donne.

Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture” si dissero l’un l’altro dopo averlo riconosciuto, prima di partire “senza indugio” per raccontare ai compagni rimasti a Gerusalemme cosa gli era accaduto e di come il Cristo fosse davvero risorto.

Questo brano è straordinariamente significativo perchè, al di là del fatto storico, è simbolo e figura dell'esperienza terrena di ogni credente, di ogni uomo o donna che sia, di ciascuno di noi. Il tema del Cristo misterioso nostro compagno di strada, di quella strada ch'è sinonimo della nostra vita; il tema della difficoltà a riconoscerlo nella fede e, prima ancora, della incapacità di vincere da soli le nostre pigrizie; il tema dell'accoglienza anche verso lo sconosciuto e quindi l'invito alla condivisione e alla solidarietà, il riferimento alla presenza reale del Signore nel pane eucaristico, ebbene: sono tutti aspetti fortemente coinvolgenti e capaci di rispondere a molte esigenze e domande dell'animo umano.

Il quadro  a cura di Biancalani Martina

Gianfranco, ha scelto di fermare la sua e la nostra attenzione sul momento determinante del racconto evangelico, cioè sull’attimo in cui il Cristo si svela, si manifesta come il Risorto, il Salvatore, il “Pane vivo disceso dal cielo” che ripete il gesto dell’Ultima Cena, il gesto della consacrazione, in termini teologicamente difficili quello della transustanziazione.

Il quadro, creato in poche settimane di lavoro - a testimonianza di una ispirazione costante e di una determinazione creativa altrettanto marcata -, nella sua estrema linearità, cioè nella sua estrema chiarezza espositiva colpisce emotivamente chi lo guarda e risulta ricco di spunti e di significati altamente cristologici.

Incanta il volto di Gesù, fissato in uno stato di profondo, sereno raccoglimento; le sue mani, così come quelle dei due discepoli posti lateralmente, ci parlano, esprimendo tutta l’intensità di quanto sta accadendo: Gesù è il “Pane spezzato per la vita del mondo” e i discepoli stupiti s’inebriano in quel mistero d’amore infinito che credevano perduto e che invece è lì, pienamente ritrovato.

Il paesaggio e il cielo che filtrano dalle finestre (a sinistra è visibile, tra intensi colori, la chiesa di Colle) estendono e allargano la scena, ma l’artista ci invita ad andare ben oltre l’orizzonte spaziale della tela, in quanto il fatto che descrive ha un valore universale, superando ogni limite e ogni immaginazione. Così gli archi delle due finestre non si chiudono, così la parete sulla destra dell’osservatore si allunga, togliendo simmetria ma dando dinamismo.

La stessa acqua nella brocca e nei bicchieri non è più il semplice ristoro dopo un lungo cammino nell’afa del giorno, ma rafforza il richiamo su di Lui, sul Cristo, la Fonte, la Sorgente che zampilla per la vita eterna e che ogni uomo, consapevolmente o inconsapevolmente, desidera e ricerca.

Ancora. Per accedere all’ambiente - che sia casa od albergo non ha importanza - Gianfranco pone a sinistra una tenda che separa in modo certo approssimativo l’esterno dall’interno e viceversa. E’ come se volesse dirci: chiunque può entrare od uscire, siamo liberi di aderire o meno a quanto narrato e qui descritto, e se Cristo si definisce Porta di accesso alla Verità e alla Vita, chiunque lo incontra e lo scopre Risorto non può chiudersi, non può isolarsi, non può che sentire di essere un tutt'uno con gli altri.

 

 
L’esigenza di un rapporto di comunione tra credenti è resa simbolicamente più evidente dalla forza evocatrice di quei grappoli d’uva (tanti acini, uno accanto all’altro, per formare il grappolo) che rilanciano, unitamente a questa, un'altra necessità, quella di rispondere ad ogni dono di Dio con il proprio personale impegno.  

«Il grappolo d’uva rappresenta il dono di Dio, ma, per diventare vino ed essere trasformato nel sangue di Cristo, ha bisogno dell’azione umana, della volontà di ciascuno a combattere e ad agire per il bene, altrimenti il dono non solo è inefficace ma si ritorce contro» (cfr. Origene, Omelie sulla Pasqua).

 

 La sua collocazione

Si è deciso di porre la Cena in Emmaus alla destra dell'altar maggiore, perchè ci sembra lo spazio che più si addice al tema dell'opera. Opera che richiama l'attenzione dei fedeli sul mistero dell'Eucaristia, sul Sacramento dell'altare, sul tabernacolo in cui Cristo è vivo nell'ostia in corpo, sangue, anima e divinità, e sulla presenza dello stesso Cristo per le vie del mondo, in ogni situazione esistenziale, soprattutto quando la sofferenza, lo scoraggiamento e il senso del fallimento vorrebbero prevalere e dominare sul singolo e la comunità.   Grazie Gianfranco.

"Non essere incredulo  ma credente "
 
Photo gallery dei dipinti
   
 
 
   
 
              



   
     
   
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