Sul colle

Se questa è la storia

Per secoli la Chiesa si è trascinata dietro la contraddizione di essere una comunità spirituale compromessa con il potere politico; l’immagine biblica di un popolo in cammino verso la “terra promessa” si è venuta fortemente ad intrecciare con l’altra di realtà legata alla catena pesantissima delle alchimie e delle logiche più spietate del potere.

Lo so che è facile dare sentenze storiche, lanciare giudizi contro questo e quello, mancando il riscontro di ciò che sarebbe potuto accadere se la storia fosse andata diversamente (poteva farlo?); lo so che i meccanismi interni alla vita di qualunque società, superati certi limiti di consistenza e cioè passando da una piccola comunità a quelli di un popolo, che abbraccia, tra l’altro, culture e latitudini diversissime, sono inevitabilmente soggetti (fatta salva, naturalmente, l’azione dello Spirito Santo) al condizionamento dei fattori umani e quindi anche della corruzione, del clientelismo, del calcolo degli interessi esclusivamente terreni. Ma se la storia è quella che è stata, non possiamo esimerci da una analisi schietta che porti a chiamare le cose con i loro nomi, senza scusanti e quindi senza sconti. L’importante sarebbe di prendere lezione dagli errori compiuti nel passato remoto e prossimo, cercare di non ripeterli (è il minimo, se vogliamo essere onesti) e soprattutto capire, da una parte, le nuove esigenze dei tempi moderni che, in positivo, vogliono più chiarezza, determinazione e sensibilità nella difesa della persona e della sua autodeterminazione e, dall’altra - in continuità con una avversione che non è mai venuta meno verso il cristianesimo - come, da parte di elementi e coalizioni anti-cristiane, vi sia una maggiore abilità e disponibilità di mezzi per alimentare la “politica del sospetto” verso la Chiesa e le sue prese di posizione. In definitiva, si tratta di una questione di cuore (leggi di passione), di intelligenza e di saggezza (non uso volutamente la parola sapienza: potrebbe essere troppo impegnativa).

Prendiamo allora, come esempio, un caso: quello emerso con prepotenza in queste ultime settimane e cioè la decisione dello Stato del Vaticano di non firmare la proposta avanzata in sede ONU di chiedere agli Stati membri la depenalizzazione della omosessualità. Non entro minimamente nella questione di merito (pur dicendo che l’omosessualità rappresenta un problema destinato ad assumere dimensioni inimmaginabili e che non può essere valutato solo ed esclusivamente con le vecchie categorie teologiche e morali), ma parlando di metodo mi chiedo: può la Chiesa sottostare a logiche di voto-non-voto, che inevitabilmente possono portare ad alleanze compromissorie, anche solo numeriche ma sempre compromissorie, con Stati che non hanno dignità democratica? Costretta a subire polveroni spesso montati ad arte per screditarla ed umiliarla, perché la Chiesa, nel suo alto magistero, da proclamare certo in ogni occasione e contesto umano, non rinunzia a questa procedura sottraendosi alla conta e al dovere di firma-non-firma? Certamente qualche papavero di cardinale avrebbe meno attenzione da parte dei mass-media; certamente, così come avviene per la religione insegnata nelle scuole (il cui insegnante non dà voto in pagella), si potrà perdere in “considerazione” da parte dei colleghi: ma che importa? La lotta, la battaglia, quando è necessario si deve accettare e, talvolta, arrivo a dire, accendere; ma, per favore, si eviti lo scontro nell’arena quando si può evitare e soprattutto quando non conviene... per il necessario servizio da rendere agli ultimi e ai poveri (che vanno intesi anche culturalmente parlando).

                                                                                                                         Colline fra Monti