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 Anagraficamente 
 

pratese, di fatto Mario Guarducci è cittadino del mondo, sia perché ha lavorato in ogni continente, sia perché le sue opere sono ovunque, in collezioni private, luoghi pubblici e musei. L’anno scorso ha realizzato ed affidato alla chiesa di Colle, un’opera degna di una cattedrale, prendendo spunto dai versi del Canto XXXIII del Paradiso di Dante  (vv. 115-145) e soprattutto da quello finale: “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

In ringraziamento per quel gesto, ma più ancora perché convinti che la sua arte sia un notevole contributo alla ricerca della natura profonda delle cose e quindi, in ultimo, della verità, di quella verità che sola può farci veramente liberi, abbiamo proposto a lui questa mostra, collocata nel portico michelucciano della nostra chiesa. Mario, generoso come sempre, ha accettato, anche perché questo luogo ricorda la nascita della madre ed è un balcone sulla piana di Firenze, Prato e Pistoia, cioè sul cuore vivo, genuino e dinamico della Toscana, per dirla con Malaparte, d’Italia. Chiunque, visitando la mostra, potrà valutare quanto siano sincere queste mie parole.                       

                                                                                                          Don Franco Monticelli

 
 
Questo alito  "surreale"
 
 

(non pittura surrealista) che evidenzia ogni quadro di questa mostra, sovviene da una rilassata volontà di porre nell’opera ogni inconscia cosa che emerge con assoluta libertà lasciando che posi sulla tela le sue reminiscenze come fosse guidata e da essa composta, e non da un ordine pensato ma, e invece, condotto da invisibile vissuto, guardato e assimilato. L’una cosa viene esaltata, quella cui poniamo istintivamente il nostro sguardo. Così facendo (ed è naturale) eliminiamo tutto ciò d’essa circondata. Contrariamente, tralasciando il voler vedere puntigliosamente quell’oggetto e quel soggetto, che sono parte speculativa dei nostri interessi, e lasciar libero l’occhio, vedremo come essi vengano “sopraffatti” dalle cose le più svariate che, messe nel loro ordinato disordine, danno quell’affollamento cui noi invece vogliamo vedere settorialmente. Essa natura stabilisce nella memoria quell’imbroglio di oggetti che viene poi classificato dall’uomo nel e per il suo habitat. - Pittoricamente parlando, qui, la prospettiva è sommariamente tralasciata, poiché non può interessare ma porre invece oggetto, materia ecc. sul piano di assoluta contemplazione. L’occhio comanda, indica, stabilisce e… inganna. L’albero si allontana e s’avvicina, ma esso è fermo. Tutto cambia secondo la nostra posizione motoria –. Ogni quadro che vediamo qui esposto, a prima vista può sembrare una massa di “cose” buttate li a caso, invece fanno parte di un discorso logico che ne narra il suo divenire, fasciandolo di poesia, e ogni di quelle “cose” di qualsiasi materia fatte, meno nobili non son di altre.

Devo aggiungere, per darmi supporto, un’espressione di B. Berenson (che riportai sul libretto “Memorie e Testimonianze”, nel 2006): Sensazioni Immaginarie.

“Esse sono quelle che esistono solo nella fantasia, e sono prodotte dalla capacità dell’oggetto di far sì che ci rendiamo conto della sua entità e viviamo della sua vita. - Non tutte le sensazioni immaginarie sono artistiche ma solo quelle che intensificano la vita”.

                                                                                                     Mario Guarducci