Il pellegrino;   di Piero Mazzoni

                  GVARDA  FVORI  DAL “MONDO”

Questo l’invito che viene rivolto dallo sguardo e dall’atteggiamento di chi è nell’atto di partire, intendendo però con tale parola (partire, appunto) non solo e soltanto l’atto fisico del camminare ma prima di qualunque altra cosa la disponibilità a indagare, a incontrare l’altro, a superare i limiti delle consuetudini, delle imposizioni sociali e culturali, anche per una religiosità autentica e non puramente formale, in altre parole a mettersi in discussione per cambiare in meglio.

 


 
 
                                      
 

“Partì la goccia

dalla patria, e tornò

trovò la conchiglia

e divenne una perla.

 

O uomo! Viaggia

da te stesso in te stesso,

ché da simile viaggio

la terra diventa purissimo oro”.

 

 

Rûmî Gialal ud Din

(Afghanistan-1207 Anatolia1273)

   
 
 
 
 
  

Un commento del parroco

 

Il pellegrino e il pellegrinaggio

Mio padre era un arameo errante” (Deut. 26, 5)

Cos’è l’uomo se non creatura in perenne ricerca di se stessa, di ciò che soddisfa sentimenti, affetti, volontà, di ciò che può aiutare a trascendere i confini della propria fisicità?

Se questo è vero, la figura del pellegrino evoca certo il camminare sulle vie dello spirito (ieri su sentieri come la Via Francigena o il Cammino per Santiago de Compostela, oggi verso santuari mariani come Lourdes, Fatima, Loreto, Medjugorje), ma rappresenta pure il sinonimo di un itinerario interiore che può essere anche non religioso, come indagine e introspezione della realtà singola e comunitaria, interna ed esterna all’uomo, aperta all’Assoluto.

Pellegrino e pellegrinaggio sono dunque due termini che indicano dinamismo e irrequietezza salutare, in quanto voglia di verificare, di conoscere, di superare, di muoversi non a caso ma in una precisa direzione, comunque disponibili a cambiare a seconda delle esperienze e degli incontri.

In definitiva, se il termine pellegrino ben si adatta all’autentica espressione della natura umana e al concetto di fedele seguace di una idea e di una religione (Aristotele non insegnava nella scuola peripatetica, cioè itinerante? Cristo non fu instancabile ricercatore di anime sulle vie di Palestina e quindi del mondo?), il termine pellegrinaggio ci appare fortemente intrecciato con quello di libertà, il dono più grande dopo la vita, la base fondante di ogni essere e di ogni civiltà.

L’opera

Dopo aver realizzato la bellissima “Assunzione della Vergine” (2007) posta all’interno della chiesa, Piero Mazzoni, artista residente a Capezzana di Colle, ci ha donato questa nuova opera, raffigurante Il pellegrino (2008). Collocata sotto il portico michelucciano, la figura accentua la ricerca metafisica della struttura, già voluta dal Michelucci attraverso la scansione insistita delle finestrelle paleocristiane poste al di sopra del portico e lo slancio spaziale dello stesso a convergere sulla valle e l’orizzonte sovrastante. Piero, in definitiva, apre una finestra spazio-temporale sulla terminazione opposta, come uno sguardo prima ancora sull’anima che sulla tradizione storica, che ha visto questo luogo come uno dei tanti rami, pur secondari, della Via Francigena (vedi R. Stopani in Quarrata, storia e territorio, BCC di Vignole). L’edificio ecclesiastico nel suo insieme, con tale inserimento, acquista come una espressione vocale aggiuntiva, tesa ad invitare al superamento di ogni pigrizia, nel necessario cammino di conoscenza e di conversione, comunque intesa, verso l’ideale realizzazione di se stessi.

Lo sguardo profondo ed insistente del pellegrino, è infatti un invito ad alzarsi e a partire coraggiosamente non verso l’ignoto ma, nelle prime luci dell’alba, verso la pienezza del giorno e quindi della vita che, per il credente, è la pienezza della rivelazione, cioè Cristo: Via, Verità e Vita.

 

 

Il piccolo cane fra i piedi del pellegrino non è solo reminiscenza rinascimentale e quindi pura esercitazione formale, ma la sottolineatura a fidarsi dell’invito, perché il pellegrino è fedele e non inganna; la pianta di fico sulla destra, richiamando all’episodio evangelico del fico maledetto da Gesù lungo il cammino per Gerusalemme, oltre ai tanti significati che gli si possono attribuire, è il richiamo ad una esistenza e ad una fede che diano frutti e non siano sterili.




Le foglie ormai secche cadute per terra non sono li per caso, ma appaiono come se ce le avesse accostate il vento, sembrano vere. Il cardo selvatico, come del resto il fico; al di là dei significati sono piante molto comuni nel nostro territorio.


Per il cammino

Vi è un libretto che si può leggere in una notte, un classico della letteratura spirituale di tutti i tempi, in esso trovano perfetta sincronia il cammino del pellegrino itinerante da un santuario all’altro, e quello interiore di ricerca di un rapporto sempre più profondo con Dio in Gesù Cristo. Da questo piccolo libro ho tratto il brano seguente.

E ora eccomi pellegrino, recitando senza posa la preghiera di Gesù che mi è più cara e più dolce di ogni altra cosa … Se la fame si fa insistente … Se mi sento male alla schiena … Quando qualcuno mi insulta, non penso che alla benefica preghiera di Gesù; immediatamente collera e pena svaniscono … Introduci nel tuo cuore la preghiera di Gesù e falla uscire insieme con il ritmo del respiro. Ossia inspirando l’aria, dì o pensa: Signore Gesù Cristo, ed espirando: Abbi pietà di me!”

(Dai “Racconti di un pellegrino russo”)