I Collesi raccontano

"Ci sono mille cose più lontane a cui si dedicano meticolosità e fatica, mentre, proprio dell'elemento più prossimo e più importante, della sorte della nostra vita, dei nostri congiunti, della nostra stirpe (sorti che abbiamo concepito come pensieri d'una provvidenza che le pianifica con discrezione), ci preoccupiamo così poco, facendone svanire, con noncuranza, ogni traccia nella nostra memoria! Una posterità più saggia ricercherà ogni notizia che riguardi le circostanze del passato come fosse un santuario, e anche la vita d'un singolo, insignificante uomo non le sarà indifferente, poichè di certo vi si rispecchierà, in misura maggiore o minore, la grande vita dei suoi contemporanei".

Friedrich von Hardenberg (detto Novalis), Enrico di Ofterdingen.

Ricordi dei tempi lontani (Anni Trenta, anni difficili)

 

In quell’epoca il mondo girava pressappoco così. C’era talmente distanza fra il proprietario e il dipendente che il proprietario, sia industriale che terriero, era signorone, mentre i dipendenti, senza un sindacato, un ente che tutelasse i loro diritti, erano sfruttati: trattati quasi come schiavi. Io ero ancora piccolo, ma ricordo benissimo come eravamo trattati. Ai poveri operai gli davano paghe da fame; in compenso gli operai ed anche i mezzadri dovevano ricevere il padrone con il cappello in mano e con l’inchino (anche i preti - ndr). Godevano un mondo se vedevano i dipendenti vestiti male, perché tra loro e noi ci doveva essere quella gran differenza che altrimenti non sarebbero stati considerati abbastanza. Per esempio, noi mezzadri. Tutte le spese che dovevamo sostenere per vendemmia, trebbiatura, svinatura, con squadre di uomini ad aiutarci a cui dovevamo dare la paga ed il mangiare, erano a carico nostro; i proprietari non ci rendevano una lira. A Natale volevano dodici uova e un cappone; per Befana uccidevamo il suino e allora c’era da portargli un bel prosciutto tagliato lungo che a volte era anche 12/13 chili, in più un bel pezzo di pancetta. Per Pasqua ancora 12 uova e un pollastro e così noi tiravamo la cinghia e loro stavano da pascià. Quando in una casa c’era un anziano che non poteva più lavorare doveva andare, spesso e forzatamente, a cercare l’elemosina non avendo nessuno la pensione.

A quei tempi, c’erano ancora tanti disagi, tipo: nessuno aveva l’acqua in casa e c’era da tirarla su dal pozzo, se uno lo aveva, sennò da un fosso. Si doveva portarla a secchi sia per abbeverare le bestie che per lavarsi e per fare da mangiare; per bere andavamo a una fontana lontana da casa due o tre chilometri.     (Renzo Lunardi)

Quando venne il Duce

Da bambina abitavo con la famiglia in una casa colonica di uno dei molti poderi della fattoria di Capezzana, dei conti Contini Bonacossi, in località detta Mulin Nuovo... Una cosa che fece molta impressione fu quando venne il duce a visitare i poderi della fattoria. Da noi giunse ch'era quasi mezzogiorno, con una lunga fila di auto scure, una dietro l'altra. Mussolini scese (credo ci fosse anche Ciano) e bevve un bicchiere di vino sull'aia, all'ombra, in piedi. Non accettò altro, di quello che era stato preparato su di un tavolo all'aperto. Lo rivedo ancora mentre parla con alcune persone, con il bicchiere in una mano e l'altra sul fianco, osservare la campagna, con quel suo strano modo di muovere la bocca e barcullarsi sulle punte dei piedi. Noi ragazzini e ragazzine, in abito di festa, raccolti a una certa distanza, guardavamo in silenzio quelle cose dei grandi, ridendo di nascosto. Qualche monello, ricordando quella visita, gli rifece il verso. Furono appena pochi minuti, poi la carovana ripartì tra una folta nuvola di polvere... incontro al giorno e ciascuno al suo destino. 

                                                                                                                        (Lorena)

 L'arrivo degli americani a Colle

"Dopo un'estate di paura, passata fra bombardamenti, bombe, rastrellamenti ecc. finalmente venne settembre (1944). I tedeschi avevano le batterie lì, in Via Riacci, in quel podere che allora era il podere dei genitori di Antonio Bellini che adesso abita in Via di Colle. Da queste batterie sparavano al di là dell'Arno, verso Lastra a Signa, dove era il fronte americano. A loro volta gli americani sparavano da Lastra a Signa verso le batterie tedesche, piazzate in quella via. Dopo un giorno di ininterrotti cannoneggiamenti, i tedeschi decisero di ritirarsi però, prima di farlo, fecero saltare, minandoli, tutti i ponti sui fiumi, tra i quali il ponte di Via Brunella e quello all'inizio di Via Colle. Dopo i ponti minarono il nuraglione della rocca di Tizzana, alcune case all'inizio del Viale Montalbano, a Quarrata. Ai Casini minarono tutte le case della statale: lì fu ammasso di macerie, tutte nella strada. I tedeschi fecero tutto questo per rallentare l'avanzata delle truppe americane. Dopo qualche giorno, verso l'imbrunire, vedemmo venir su per Via Brunella una grande colonna di fari che si avvicinavano: erano automezzi americani che venivan piano piano. Quando arrivarono alla crocina presero per Via di Colle. Arrivati all'incrocio detto "dei cipressi" voltarono a destra per Via Riacci e andarono avanti finchè non arrivarono dove prima c'erano le batterie tedesche. Ci stettero alcuni giorni poi, sempre inseguendo i tedeschi, andarono su verso l'Alta Italia, dove il 25 aprile fu scritta la parola fine... fine della seconda guerra mondiale".

                                                                                                                  (Renzo Lunardi, il nostro più autorevole poeta)

Il sindaco Amadori e la lapide alla fontana

Il sindaco di Quarrata Amadori fu un vero gentiluomo, che molto fece, oltre che per tutto il territorio comunale, anche per la nostra frazione. A lui si deve la collocazione dei due lampioni in prossimità della chiesa, l'asfaltatura delle strade fino al confine con Spazzavento, la sistemazione del cimitero, l'arrivo del telefono e dell'acqua nelle case. Riguardo all'acqua, Francesco ci racconta che presso la fontanina di località Castello (appena sopra la chiesa), fino ai primi anni Cinquanta, vi era una lapide con questa scritta: "Il Podestà, conte Gazzola, forniva dell'acqua potabile Colle, nei dì in cui la Patria debellava il nemico e  istaurava l'Impero" (siamo nell'anno 1936, al tempo della conquista dell'Abissinia).

                                                                                                                                   Francesco Rossi 

 Cena di ringraziamento  in casa Rossi  al sindaco Amadori ( 1968 )          
     
     
        
   I contadini del conte Giuseppe Gazzola
 

 Il coraggio di un paese

Nell'ultimo conflitto mondiale, Colle si distinse per l'aiuto dato ad alcuni soldati alleati, nascosti in una capanna e alimentati quotidianamente dalla popolazione. Per questo contributo coraggioso e umanitario, il Comando Alleato, nella persona del generale H.R. Alexander FIELD-MARSHAL SUPREME ALLIED COMMANDER MEDITERRANEAN THEATRE, rilasciò un Certificato quale attestato di gratitudine e riconoscenza.


Dario
 
 
                                                                         Documenti di ringraziamento fronte retro, in inglese e in italiano

Angiolo
 
          

 L'impegno per ingrandire la piccola chiesa

Le spese furono sostenute quasi interamente dalla famiglia dei conti Contini Bonacossi, tanto che una lapide sotto il loggiato ne ricorda giustamente i meriti, ma tutte le famiglie si impegnarono nell'offrire, chi più chi meno, giornate ed ore di lavoro gratuito. In definitiva fu un gran lavoro di popolo. Con i carri e con i muli era tutto un andirivieni per trasportare le pietre dai terreni sopra il cimitero di proprietà, allora, della parrocchia e della famiglia Rossi. Anche la piazza venne ampliata in quella circostanza; il vecchio muro di contenimento fu disfatto, così come il piccolo loggiato davanti all'ingresso della vecchia chiesa che, oltre ad essere allungata verso sud, venne rialzata. Dell'abside che esisteva dietro l'altar maggiore, allora sulla parete est, non abbiamo notizie certe relative al suo abbattimento. 


 (Francesco Rossi) novembre 2007

La canonica: quasi una fattoria

L'abitazione del parroco di Colle era un tempo quasi una vera fattoria. Al piano terra (corrispondente al piano di sotto, in corrispondenza con il giardino verso Seano) l'abitazione giornaliera; al primo piano (corrispondente al livello della piazza e quindi della chiesa) le camere, lo studio, l'accesso alla sacrestia con la grande sala dove, tra l'altro, si tenevano anche gli spettacoli dei ragazzi; al piano superiore altre stanze e i ripostigli. Al primo piano, in quella che oggi è la cucina, vi è ancora la botola attraverso la quale i contadini del prete (la parrocchia era proprietaria di un vasto territorio vignato e ulivato) gettavano dai carri l'uva direttamente nel tino, collocato di sotto.                                      (Francesco Rossi)

 Da Colle l'autorizzazione e la miccia per il sabotaggio a Poggio alla Malva (11 giugno 1944)

"Scrive... Guido Mazzoni, che fu rappresentante del comitato federale del PCI, ufficiale di collegamento delle Forze garibaldine e del Comando regionale toscano (Comando Marte) nel Comitato di liberazione pratese: "[...] Ci incontravamo sovente (con Bogardo) a Colle, in prossimità della Catena, sulla strada pistoiese, io marxista e lui cattolico". [...] Bogardo certamente si recò a Colle dal Cantini, col suo programma già elaborato [...] e ripartì da Colle con la miccia e un ordigno esplosivo, consegnatogli da Brunetto Fiaschi, la cui cantina era stata trasformata dai partigiani in deposito di armi ed esplosivo".

                                                                                               (da Prato - Storia e Arte)

Le paure

In tutti i paesi, i vecchi raccontano di luoghi particolari, in cui si sarebbero verificati fatti e incontri strani, per cui passarvi da soli e particolarmente di notte era impresa ardua e per i più coraggiosi. Qui da noi, diversi episodi hanno come teatro - non casualmente - la strada che passando dal cimitero di Colle porta alla fattoria di Capezzana.

"A quei tempi - è Francesco che parla - nella casa del Marcitoio c'era una famiglia con cinque figlioli, quattro femmine e un maschio (fra l'altro quando questo figlio maschio tornò dal militare, nel 1943, la mamma dalla contentezza morì dopo averlo riabbracciato, davanti all'uscio di casa). Allora, il fidanzato di una di queste figliole, che si chiamava Adimone, una sera, andando a fare all'amore - come si diceva una vorta -, in quella strada, all'altezza del deposito dell'acqua, vide una donna davanti che camminava svelta e pensò che fosse una di quelle ragazze: "Nunziatina", chiamò. Ma cammina cammina, non riuscì a raggiungerla. Quando arrivò sul poggettino, questa persona gli sparì ed ebbe tanto spavento che rischiò di andare in erisia (cioè di perdere la testa). Non so per quanto tempo venne da mio padre, che faceva le punture, per curarsi dalla paura che ebbe!

Un'altra vorta un uomo disse di essere stato rincorso da un cavallo tutto rosso e di fuoco, che anche lui rischiò di dar di barta il cervello".

"Padre e figlio stavano risalendo sopra il cimitero, quando il figlio disse al padre: "Babbo, guarda che strano!" Ebbene, un uomo stava pedalando su di una bicicletta dalla forma inconsueta, tipo quella con una grande ruota davanti e una piccola dietro; ma la cosa più strana era che la bicicletta fosse più alta degli alberi della strada. Si racconta anche che, per molto tempo, le persone che passavano davanti al cimitero vedevano spuntare all'improvviso un canino che le accompagnava per un tratto di strada e poi, così come era apparso, improvvisamente spariva" (Gianfranco)

LE NOCI                      INNO DEL FANNULLONE

I fuochi fatui.

"A quei tempi - ci dice ancora Francesco - non era come ora che ci sono tutte le luci: il buio era buio. Per esempio a Pozzonero. Mio padre e mio zio, il venerdì e il sabato, andavano a Firenze, perchè qui le donne lavoravano tutte di filè (ricamo) e loro, ogni fine settimana, andavano a portare questi lavori con Muscino di Tizzana che aveva i cavalli. Quando tornavano, di notte, qui sotto, dove c'era un pozzo nero, spesso vedevano delle fiamme e fiammelle. Una vorta, con mio zio Paolino, andai dalla Carmelinda, nella casa sotto la chiesa: lei faceva il tittò (un ricamo particolare) e andammo a prenderlo per portarlo il giorno dopo a Firenze. Vicino alla chiesa c'era un muro alto e sotto c'era tutti i carciofi della carciofaia; dal Castellare (località dalla parte opposta alla chiesa, in alto) un lumicino veniva giù giù veloce che i mi zio disse: "Guarda quello là, guarda quello là...". Un'altra vorta, Gianni del Rossi, raccontava che una notte aveva visto un lumicino in lontananza e gli disse: "Lumicino vien via da me!" e chiuse la finestra. Quasi subito sentì bussare ai vetri e una voce gli disse: "Non t'azzardare a chiamammi!". Anche al cimitero si vedevano delle lucine e sicuramente erano i gas che uscivano dalla terra".

Dalla Russia mezzi marci

"Nel 1943, da militare mi trovavo all'ospedale di Pistoia, perchè mi ero ammalato e il comandante ci chiamò, io e altri come me, e ci disse: "Ragazzi, e c'è un treno di reduci dalla Russia, tutti congelati, che un sanno dove mettegli, che ne dite se andate a casa pe fagli posto?" Noi fummo tutti d'accordo e così si fece". (Francesco)

"Io e la su sorella andai a vedello, e c'era la piazza piena e i comandante fa: "Vu siete troppi e passa solo quelli che son fori Pistoia". "Noi siemo di Quarrata", dissi. "Allora entrate". Mamma mia, e c'era un puzzo che veniva voglia di vomitare, con tutti que ragazzi mezzi marci"   (Nunziatina)

Quando in comune c'era il Podestà

Eravamo nel 1942. Era tempo di fascismo. Un giorno di fine autunno un aeroplano, un piccolo aeroplano da turismo, volando a bassa quota strappò i fili della linea telefonica che passava per la pianura, tra Santonuovo e San Biagio.

Le autorità di quei tempi pensarono bene di mandare gli uomini del comune a fare la guardia a quella linea: a Buriano, Lucciano, Colle e Tizzana. Ognuno di noi aveva da sorvegliare un'antenna: erano tutte numerate ed a ciascuno ne fu assegnata una, dovendo fare turni di due ore di giorno e di notte. Ricordo di essermi dovuto alzare anche in una notte con una tramontana che entrava nelle ossa e dovendo andare in bicicletta o a piedi - non avevamo altri mezzi - vi lascio immaginare la scena.

Quello che più ci faceva rabbia era che quelli di Santonuovo magari erano destinati verso San Biagio, noi di Colle verso Valenzatico o Santonuovo. A quei tempi il telefono era quasi esclusivamente quello pubblico e - ironia della sorte - a Colle ancora non esisteva!

In seguito venimmo a sapere che a tranciare i fili era stato un signore di Quarrata: era un famoso fascista e per questo non fu punito. Dovemmo pagare noi le conseguenze.

                                                                                                                                                  (Renzo Lunardi)

In quegli anni fu scritta la canzone:

                 “Se potessi avere mille lire al mese”

Lo stipendio dei dipendenti dell’industria poteva essere 250/300 lire al mese, mentre quelli agricolo 200 o poco più. Raggiungere quindi mille lire al mese, voleva dire che si sarebbero potuti permettere vacanze al mare o in montagna, avere una casa propria, rivestirsi, prendersi qualche svago, sognare. Poi in quei giorni, non c’era ancora, almeno nelle campagne, la luce elettrica e quindi non avevamo né fornello elettrico né fornello a gas; per far da mangiare le nostre povere donne erano costrette, anche in piena estate, ad accendere il focolare: avevamo uno di quei focolari grandi come una grande coppa. Mia madre, ricordo, metteva una fascina intera sul fuoco e a quella fiamma, pure nei solleoni, si metteva a friggere con una grossa padella col manico lungo mezzo metro per non scottarsi le mani. Se poi doveva cuocere qualcosa nel tegame, tirava indietro i tizzi del fuoco e con un treppiedi di ferro ed il tegame sopra coceva baccalà, fagioli, cavolo, rape; la carne solo la domenica e le altre feste comandate. La cucina era talmente nera che sembrava imbiancata a catrame.     

                                                                                                                                            (Renzo Lunardi)

 

Notte magica

Ricordo quando ero bambino la notte di Natale. Andavamo con tutta la famiglia alla Messa di mezzanotte, a piedi, per strade impervie, sassose e buie (a quei tempi non esistevano lampioni): era buio pesto e non vedevamo dove mettere i piedi.

Eravamo, a quei giorni, poco vestiti per affrontare il gelo di quelle notti: non avevamo, come abbiamo adesso, maglioni, giacconi o cappotti, ma un semplice giacchetto, che portavamo anche in estate. Per questo tremavamo come foglie al vento. Quello che c’era di bello era lo scampanio festoso che si sentiva, anche dai paesi vicini: era comunque una notte magica, pur tremando dal freddo e proprio perché si soffriva il freddo ci si sentiva più vicini a Colui ch’era nato nella mangiatoia.

Arrivati a casa, dopo la Messa, trovavamo il focolare spento – ed era l’unico riscaldamento che avevamo – quindi andavamo a letto a ghiaccio: andare in camera era come andare nelle steppe della Russia… ma la notte di Natale era: una notte di magia.

Il Natale è molto sentito anche adesso: era e rimane una bella Festa, però, pur cominciando a parlarne a ottobre, in televisione, se ne parla più per reclamizzare il panettone che per parlare della nascita del Redentore. Inoltre non sono più le notti silenziose di allora: di scampanio festoso al massimo si può sentire quello del nostro campanile – se ci troviamo abbastanza vicini alla chiesa – altrimenti, i tanti rumori che rompono i timpani ci nascondono il festoso suonar delle campane.

Il Santo Natale era, è e rimane comunque la Festa più bella dell’anno. Io ne ho visti passare 84 e vorrei vederne ancora qualcuno, in avvenire.

                                                                                                                                             Renzo Lunardi

Ai confini della realtà

 

Quando la verità è meglio non dirla per non passare da visionari, ovvero quelli che “non lo racconto perché tanto nessuno ci crederebbe”;

ecco, quelle cose li … Per esempio …

 

Tutti gli anni, in autunno, durante una notte di luna quasi piena si può assistere al passaggio di un grosso, anzi, enorme uccellaccio che però nessuno è mai riuscito a vedere in modo diretto; si sente solo il fruscio delle sue ali e il suo grido forte e  stridulo che fa quasi paura. E’ molto veloce perché in pochi secondi appare dalla parte di Tizzana e scompare oltre Capezzana o, meglio, non appare ma si sente. Solo una volta sono riuscito a vedere per un attimo la sua ombra proiettata su uno spiazzo illuminato dalla luna … impressionante: collo lungo, gambe distese all’indietro con grossi artigli, ali ricurve, adunche (apertura più di due metri)… ma tanto … non ci crede nessuno.

. . . . .

 

Una volta ho assistito a un fatto molto strano a cui in seguito ho cercato di dare una spiegazione logica, ma mi sono rimasti forti dubbi. Ecco il fatto.

Una sera verso mezzanotte stavo guardando la luna col mio telescopio. La notte era chiara, la luna era piena e il disco luminoso nel telescopio appariva molto grande quando, ad un tratto, alcuni oggetti scuri hanno iniziato ad attraversare in lungo e in largo il disco lunare. Avevano la forma, grosso modo, di un rondone ma sembrava addirittura che stessero volando molto bassi sulla superficie lunare perché si vedeva benissimo la loro ombra proiettata al suolo. Ho osservato questo fenomeno per circa mezz’ora e poi, vista l’ora tarda, non mi è sembrato il caso di svegliare qualcuno e … sono andato a letto.

Ho ripensato in seguito che forse erano veramente dei rondoni che volavano fra me e la luna a circa 100 metri d’altezza e siccome non erano a fuoco io li vedevo doppi - questo spiegherebbe l’effetto ombra al suolo - ma mi restano molte perplessità... non so... Certo sarebbe molto più affascinante pensare ad antichi e giganteschi pipistrelli  (Pterodattili ) che svolazzano allegramente sulla luna incrociandosi fra loro a volo radente !!!! Ma tanto … non ci crede nessuno.

 

                                                                                                                                     Gianfranco Gaggioli

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